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Original Articles

Political economy of virtue: civil economy, happiness and public trust in the thought of Antonio Genovesi

Pages 582-604 | Received 14 Jun 2017, Accepted 06 Jun 2018, Published online: 18 Jul 2018
 

Abstract

Amid the growing literature in English on the work of the Neapolitan political economist Antonio Genovesi (1713–1769), this paper focuses on his conception of civil economy (economia civile) as a theory of government. By contrast with existing interpretations, the argument is that for Genovesi virtue is a significant ordering device of the polity: virtue mediates between passions and reason, and the human capacity for virtue helps individuals better to realise their different talents. This, in turn, means that virtue is central to the division of labour and the right proportions between different activities, including the balance between consumption and trade.

Acknowledgements

I would like to thank two anonymous referees for the EJHET whose comments have helped me to refine my argument. All remaining errors are mine.

Disclosure statement

No potential conflict of interest was reported by the author.

Notes

1 This article uses the Arata edition of the Diceosina (Genovesi Citation1973) and the second Neapolitan edition of the Lezioni, edited and amended by Genovesi himself, recently republished in a critical edition by Francesca Dal Degan (Genovesi Citation2013).

2 Among the main contributions to the historiography on the economic thought of Genovesi, see Demarco (Citation1956), Villari (Citation1959), Venturi (Citation1970), Galasso (Citation1977), Pii (Citation1984), Di Battisa (Citation1985, Citation1987), Ferrone (Citation1989) and Perna (Citation1998). For the most recent comprehensive overview of authoritative interpretations, see Jossa, Palatano and Zagari (Citation2007).

3 All translations from Italian are mine, unless otherwise specified.

4 On the relationship between private and public happiness in the eighteenth-century context, see Rao (Citation2012).

5 “Ogni persona ha un’obbligazione naturale e insita di studiarse a procacciare la sua felicità, ma il corpo politico non è composto, che di sì fatte persone, dunque tutto il corpo politico e ciascun membro è nell’obbligazione di fare quanto è dalla sua parte tutto quel che fa e può, per la comune prosperità, purché si possa fare senza offendere i diritti degli altri corpi civili. Questa obbligazione con bello e divino legame ritorna dal corpo civile in ciascuna famiglia e in ciascuna persona, per gli patti comuni di società. Di qui è che ogni famiglia, e ogni persona, è obbligata a procurare, quanto sa e può, la comune felicità, per due obblighi, l’uno de’ quali è l’interno della natura, e l’altro quello de’ primi patti continuati ne’ posteri per lo vivere in comunità. Si può aggiungere il terzo, l’utilità propria. Sarà eternamente vero, dice Shaftesbury, che la vera utilità è figlia della virtù, perché è eternamente vero che il gran fondo d’ogni uomo, ond’è la massima sua rendita, è l’amore di coloro, on cui vive. Or quest’amore è appunto figlio della virtù”.

6 “In che dunque diremo l’uomo essere più socievole che non sono gli altri? Ogni animale si unisce col suo simile, secondo la sua natura; essi si soccorrono eziandio scambievolmente ne’ loro bisogni, ciascun genere a tenore delle sue forze e delle sue cognizioni e ciò per istinto, non per riflessione. Ma negli uomini vi è qualcosa di più sublime e divino, che dee farne un vincolo più forte, e questa è la PIETÀ, fondo propri del cuore umano […] e la RAGIONE calcolatrice d’ un’infinità di rapporti col fine della nostra vita […] questa ragione, dico, ci discuopre un reciproco diritto di esser soccorsi e conseguentemente una reciproca obbligazione di soccorrerci ne’ nostri bisogni ”.

7 “Se il soddisfare al dolore e alla sollecitudine si dica interesse […], è chiaro, che l’uomo non opera naturalmente che per interesse. E pure nel volgar modo di pensare e parlare, io stimo che s’ingannino così coloro che dicono che l’uomo opera per solo interesse, come quelli che il negano, parlando gli uni e gli altri poco consideratamente. E ciò derivasi dal dare maggiore, o minore estensione alla parola interesse. V’ha di coloro i quali non intendono per interesse che un amor proprio riflesso, ed è falso che ogni uomo opera sempre per sì fatto interesse, niente essendoci più manifesto per l’esperienza quant’è che l’uomo è un essere elettrico, e che il principio simpatico sia la sorgente di tre quarti delle azioni umane. Ma se per interesse s’intente quel soddisfare e compiacere al dolore, alla molestia, alle irritazioni di quelle specie che son dette, all’inquietudine dell’anima, e ad ogni buona o rea passione, non si troverà che noi operiamo per altro principio […]”.

8 Genovesi notes that “This Latin word fides [Latin for ‘trust’] is the Greek σφιδις, string, bond (Questa parola fides de’ Latini è lo σφιδις de’ Greci, corda, legame” (Genovesi Citation2013, 341n121).

9 Hume himself speaks of “the coherence and apparent sympathy in all the parts of this world” (Hume Citation1948, XII, 86).

10 Here Genovesi seems to echo Augustine’s point that “without justice what else is the state but a band of robbers” (De Civitate Dei, Book IV, 4).

11 “la virtù insegna ad amare l’ubbidienza alle leggi, a praticare scrupolosamente la giustizia: all’essere umani, discreti, circospetti, compassionevoli, a riputare e coltivare l’arti, a recarsi a vergogna la poltroneria, il lusso, l’intemperanza, l’immodestia, l’incontinenza, la stolidezza, l’escandescenza, le rodomontate, ecc. Mai non si legge esservi stata tranquilla e felice Repubblica, senza che vi fiorisse molta scienza, molta virtù, e molte arti, le sole nutrici di questa nostra felicità: né a considerare le cose da vicino, e con occhio filosofi co si troverà poter essere altrimenti” (Genovesi Citation2013. In Lezioni di Commercio o Sia di Economia Civile, edited by Francesca Dal Degan. Milan: Vita e Pensiero. 2013, 415).

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