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Phaedrus’ Cicadas: Patrizi's Dialoghi and vernacular rhetoric

Pages 619-629 | Published online: 05 Nov 2019
 

ABSTRACT

In his Dieci dialoghi della retorica (Venice, 1562), Francesco Patrizi analyses the nature of language and the historical developments of oratory, taking part in the debate on this art reinforced by the spread of the Aristotelian Rhetoric. This gave him the opportunity to consider the origins of human social life and explain the traditional rhetorical teaching in an anthropological perspective. He also argued against the civic use of oratory as presented in some contemporary treatises on it, written in the vernacular.

Notes on contributor

Anna Laura Puliafito is a research fellow in the Centre for the Study of the Renaissance at the University of Warwick, UK. She has published extensively on Italian Renaissance learning, philosophy, and intellectual history.

Notes

1 On the Accademia, see Bolzoni, “L’Accademia Veneziana”; Vasoli, “Le accademie”; see also Graheli, “Reading the History”.

2 On Patrizi's reflections about human nature, see Muccillo, “Il De humana philosophia”.

3 The material presented in this paper is closely connected to my previous work on Patrizi's rhetoric, i.e. Puliafito, “Patrizi e la ragione degli animali”; Puliafito, “Patrizi e la retorica della paura”.

4 Patrizi, Della retorica, 3v; cf. Aristotle, Hist. anim. 5305a30 and passim.

5 Patrizi, Della retorica, 3v. Cf. Pampsychia, V, in Nova Philosophia, in which Patrizi discusses the nature of the soul; see Puliafito, “Patrizi e la ragione degli animali”, 131.

6 Patrizi, Della retorica, 3rv: “L’Italiano non intende il Tedesco, ne l’Indiano, prima che ei s’habbia appresa la sua lingua. Né quegli intendono l’Arabo, o lo Spagniuolo. Et pur tutto sono huomini, di essenza medesima”. My own free translation here, as well as in all following quotations. On the same topic, see Patrizi, Nova Philosophia, 58v; see also Porphyry, De l’abstinence, II; see also Puliafito, “Patrizi e la ragione degli animali”, 134.

7 “Dialogue II: Il Figliucci overo delle materie oratorie”, in Patrizi, Della retorica, 9r: “Fig: No. Pa: Quale sarebbe a dire? Fig: Quale sarebbe che Rutilio, non fosse uguale in bontà di Retorica a Cicerone, Alessandro ad Aristotele. Pa: Io intendo ora, ma quale è di loro, di tutti il migliore? et qual secondo? Fig: Poco sopra a questa età, Cicerone era stimato il migliore, et Quintiliano era’l secondo, et alcuni il tenevano per primo, et altri teniano Hermogene in maggior pregio. Ma ora scopertosi Aristotele, è loro ito avanti molte miglia nel credere d’ognuno”; later (11r), Patrizi will refer only to “Aristotele, Cicerone, et Fabio [Quintilianus]”. Aristotle is considered the best teacher (“soprano maestro di retorica”) (13v). The successful comeback of Aristotle's Rhetoric began with Aldus Manutius' collection of 1508 (Rhetores in hoc volumine habentur). On this volume, see the entry by Alessio Cotugno in Venezia e Aristotele, 98–101.

8 See Garin, “Note”, 35, reporting in primis Benedetto Croce's opinion.

9 On Cavalcanti's Retorica, see Gambino Longo, “Violenza e retorica”; Puliafito, “Abbracciare Aristotele”.

10 Dedication Al Magnifico Alberto Lollio [ … ] Gio[van] Battista Giraldi Cinthio, in Lollio, Orationi, n.n: “Quando uscì in luce la Rhetorica del Signor Cavalcanti, io cominciai à prender speranza, che questa nostra gentile e leggiadra Favella, dovesse in tal pregio salire, che se ne potesse andare colla Greca, et colla Latina à paro, à paro: qualunque volta avvenisse, che si trovasse Republ[ica] ove la eloquenza havesse il suo loco, come già l’hebbe in Athene, et in Roma. Ma veggendo poi tutte le Repub[liche] d’importanza, hoggidì occupate, ò da Signori soli, ò dai maggiori di esse, appresso i quali poca forza ha l’Eloquenza; reggendosi, et dispondendosi ogni cosa ne’ giudicij, et nelle deliberation allo arbitrio di que’ soli che reggono; ò / secondo il parere di que’ Giudici, che à simili cose sono da essi predisposti; non secondo il maggior consentimento del popolo, che approvasse, overo rifiutasse ciò, che l’Oratore havesse detto: dubitava molto, che anchora che quel dotto et gentile spirito havesse di maniera trattata l’arte della Rhetorica, che avanzasse ciò, che scritto ne hanno tutti i Greci et Latini; non vi fusse però chi desse à mostrare con Orationi la virtù di quell’arte, che si può veramente dire la vera et sola dominatrice de’ cuori humani: facendo ella di loro ciò ch’ella vuole, col piegarli ad ira, à misericordia, à pace, à guerra, ad assolvere, à condannare, à i risi, à i pianti, et finalmente, à tutte quelle affetioni de gli animi, à che piace all’Oratore di condurre chi l’ascolta [ … ]”. It is worth noting that this book is dedicated to Cosimo, “duke of Florence and Siena”.

11 Patrizi underlines his disorientation referring also to the metaphor of the “selva”, see Patrizi, Della retorica, 9r, 13v and passim.

12 Patrizi, Della retorica, 8v.

13 See Garin, “Note”, 35.

14 Dedication in Tradottione antica, n.n. On this work, as well as for an overview of the vernacularisations of the time, see VARI, the database edited by Eugenio Refini. Figliucci published his translation of Plato's Phaedrus in 1544 and edited Ficino's Letters in 1546; he also wrote the commentary on Aristotle's Ethics (1551). On his work, see Vanhaelen, “Cose di Platone fatte Toscane”, 1082–100.

15 The definition of the art is given in the last of Patrizi's dialogues, L’Avogaro, 57r and passim.

16 Cavalcanti, Retorica, 111; rampollo in Segni's Rettorica, germoglio in Figliucci's Tradottione, germolgio in Piccolomini's I tre libri.

17 This point is discussed in Vasoli and McLucas, “Double Rhetoric”, 543.

18 Patrizi, Della retorica, 17v: “I qua’ termini, primiero di tutti gli altri, tentò di trappassare Giulio Camillo, in foggia finta cercando, di richiedere tra loro, tutte le cose dell’ampio mondo. Il qual fatto, fu, quale, chi volesse, l’acque di tutto l’Oceano, stringere in una picciol coppa. Sì come il cercare, di sapere il certo ne particolari, quà, et là osservati, fu opra, di volere porre fini all’infinito”.

19 Patrizi, Della retorica, 11r: “Ma forse essi hanno voluto fare a uso de gran cozzoni, i quali per dar maneggio ad un pretioso cavallo, tale ch’ei possa egualmente volgere a destra et a sinistra, il cacciano entro a due gran cerchi dissegnati in terra, et attaccati, si che entrando et uscendo d’uno in altro, et volgendo a questa mano et a quell’altra, l’havra tutto un giorno fatto correre [ … ]. Così hanno fatto i maestri di Retorica, per affinare gli oratori a volgere la lingua tostamente da ogni centro, havendogli cacciati a spron battuto, ne due generi”.

20 Patrizi, Della retorica, 5v–8r; Fossati, Memoria sopra due celebri accademie veneziane, 22–3; see also Garin, “Note”, 41; Puliafito, “Prefazione”, in Patrizi, Della retorica, ii; Gambino Longo, “Violenza e retorica”, 203.

21 Patrizi, Della retorica, 5v.

22 Patrizi, Della retorica, 5v–6r: “Ma era la lor vita allhora, felice molto, et senza male alcuno. Conciosia che non vi fosse, tra gli huomini, né guerra, né seditione, né odio alcuno. Né era tra loro, et tra gli animali, quello, che si vede ora, che si mangino l’un l’altro. ma vi era amore, et conversatione fra tutti, et fratellanza. Né vivevano gli huomini; racchiusi nelle città, sì come fanno hora, per la paura delle fiere, et de gli altri huomini nemici. Ma pasceano sparsi quà, et là, et misti, et nò, con gli animali; et la terra, lor produceva frutti, quanto era ’l bisogno per lo sostenimento della vita, senza lor fatica veruna. Et era tanto la temperatura dell’ethere, et dell’aere, per entro, che le stagioni non lo variavano, alla maniera d’hoggi. Il perché essi andavano ignudi, et si giacevano, la notte per l’herbe: le quali, la terra apparecchiava loro, per letticciuoli, altissime, et mollissime. Et non provavano in somma, male alcuno”.

23 Patrizi, Della retorica, 6r: “Ma conoscendo essi in quel tempo, tutte le verità, et tutte le virtù, di tutte le cose, sapeano, che tutte erano buone: et che non ve n’era rea veruna. Conciosia cosa, che conversando essi famigliarmente, et ragionando, con gli animali, et con gli uccelli, et con le piante, et con gli spiriti [ … ] tutti gli huomini sì, ma molto più quelli, che più al cielo, habitavano vicino. Nel quale, per oltre all’ethere limpidissimo, scorgeano tutte le virtù, di tutte le stelle, et erano i loro sensi, nutriti nel purissimo ethere, purissimi. Là onde essi haveano scienza di tutte le cose, et celesti, et elementali, et sapeano le virtù, et le potenze di tutte: Et di tutte, si valean per la sapienza loro. Per mezo la quale, essi operavano molte maraviglie, che per la lunghissima antichità sono ite in oblio”.

24 Gambino Longo, “Violenza e retorica”, 209.

25 Patrizi, Della retorica, 6r.

26 Patrizi, Della retorica, 6v: “[…] ella cadde tutta, nelle sue caverne di sotto, et se medesima assorse, et riempì. Da che avvenne, che ella, et minor divenne, et s’allontanò, per infinito spatio dal cielo, et seppellì se stessa, et tutte le cose, che erano dentro di lei”.

27 Patrizi, Della retorica, 7v.

28 Patrizi, Della retorica, 7v.

29 Patrizi, Della retorica, 7v: “Tesserono appresso, [ … ] legando la giustizia, et la pace, per gli piedi, per le braccia, et pel traverso, et per lo collo, in mille guise annodandole andarono, accioche elle, delle loro città non si dipartissero, raccomandando i capi delle catene, che essi chiamano leggi, in mano ad huomini del loro animo, et paurosi. I quali nominarono giudici, et magistrati. Si perche essi sentissero, se quelle Dee, si come di vento fatte, et leggere, volessero fuggirsi, et le ritenessero”.

30 Patrizi, Della retorica, 2r. See also Vasoli and McLucas, “Double Rhetoric”, 540.

31 Patrizi, Della retorica, 1r.

32 Patrizi, Della retorica, 41rv.

33 Patrizi, Della retorica, 41v: “Pa: E’ si veggono essere state repubbliche popolari, che ne giudicii non hanno avuto bisogno di oratori [ … ]. Quale Firenze, et Lucca, et Genoa alcun tempo; et quali sono hoggi, le Tedesche et de gli Svizzeri et Raugia. Ma: Voi dite bene: ma per qual ragione è ciò? Pa: Io mi credo che per due. [ … ] L’una, perche vi si giudica secondo le leggi scritte [ … ] Ma: E l’altra? Pa: Perche la moltitudine del volgo, non ha i giudici in mano. [ … ] Et s’egli fosse avvenuto, che tutte le Repubbliche, et tutti gli stati, si fossero governati a giudicare per le leggi scritte, ei non sarebbero mai nati gli Oratori giudiciali”. See also Garin, “Note”, 13–5.

34 Patrizi, Della retorica, 57r–61v.

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