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Tracce Del Calendario Ebráico in Sardegna?

Pages 171-175 | Published online: 04 Dec 2015

  • Su questa parola, e sui nomi dei giorni della settimana in gènere, cf. anche P. Herzog, Die Bezeichnungen der täglichen Mahlzeiten in den roman. Spr., Diss. Zürich, 1916, p. 113. Sui nomi della settimana nelle lingue semítiche, in greco, albanese, latino e cèltico, vedi Zeitschrift für deutsche Wortforschung, I (1901), pp. 150 e segg. (notare che in ebràico [p. 162] e forse in albanese [p. 175] il venerdi è la ‘sera’, la vigilia [del sàbato]; su kenápura e il suo accento v. p. 193). Cf. anche Bàrtoli, Introduzione alla neolinguistica, p. 74; Saggi di linguistica spaziale, Torino, 1945, Indice, pp. 283 ss., s. uu. dominicus diēs, lunae diēs, sōlis diēs-, Enc. ital., s.u. settimana (con bibl.); J. Jud, Revue de linguistique romane, 10 (1934), pp. 20 n. 3; 24; 44ss.; 57.
  • Per le lingue germàniche v. Coremans, Comptes-rendus de la commission royale d'histoire de Bruxelles, 7 (1844), pp. 50 e segg.; Kluge, Beiträge zur geschickte der deutschen Sprache, 35 (1909), pp. 136 e segg. (cita a 139 un resto di parasceu¯ per venerdí in bavarese; questo è anche il nome neogreco): Etymologisches Wörterbuch der deutschen Spr., s.u.u.; A. Pfalz, nell' Anzeiger dell' Accademia di Vienna, 67 (1930), pp. 2 ss.; per lo slavo e l'ungherese v. P. Skok, ‘La semaine slave’, Revue des études slaves 5 (1925) pp. 14 e segg.
  • Cf. AIS., 333. Soltanto Sàssari e la Gallura, che italianéggiano, ànno v¸nnari ‘ueneris (diēs)’, forma piú recente, come il criterio delle àree dimostra in modo chiaro. Cfr. anche il nuovo ALEIC., carta 669.
  • La forma sarda meridionale (campidanese) čenáβara ricorda stranamente il Parasceue cena para [sic] idest preparatio que fit pro sabbato, CGlL 4,137,13, che Landgraf, ALL, 9, p. 413 e Wagner corrèggono in cena pura; ma può trattarsi di un puro caso. Una vocale àtona davanti a r è fàcile ad aprirsi. O dobbiamo forse pensare al para- di para-sceue?
  • Il primo a proporre tale ètimología è stato, per quel che so, O. Freiherr von Reinsberg-Düringsfeld, Jb. f. rom. u. engl. lit. 5 (1864) 369; cf. poi Graziadío Isaía Àscoli in Archivio glottologico italiano, 2 (1876), p. 144 nota 26; Meyer-Lübke, Zeitschrift für deutsche Wortforschung, 1 (1901), p. 193 e il suo Dizionario, 3 a edizione, s.u. cēna. Cfr. anche Jud, Revue de linguistique romane, 10 (1934), p. 56: “C'est par un procédé analoque que les Juifs [nota bene!] établis dans l'Occident latin traduisaient le mot grec qui désignait le repas précédant le sabbat, δετπνoν καθαρóν, par cena pura.“
  • Il tèrmine cristiano più antico è dunque latino; quello più recente è greco. Casi símili sono plēbs: parochia; caelum: paradīsus (cf. la Sardegna nella carta 806 dell' AIS); operārī (ted. opfern), sostituito più tardi da eleêmosynam facere (cf. Jud. Zeitschrift für romanische Philologie, 38, 1917, pp. 33 e seg.). Generalmente avviene l'inverso, come è noto. V. anche J. Jud, Re vue de linguistique romane, 10 (1934), p. 46 n. 2; 56ss.
  • Cēna pūra traduce del resto il greco δετπνoν καθαρóν, (v. nota 3); è dunque anch'esso in fondo tèrmine greco, ma di forma latina, come caelum e operārī (v. sopra) e tanti altri.
  • Su Ticonio v. F. C. Burkitt, in Texts and studies edited by J. A. Robinson, 3,1895, pp. 1 e. segg. (per la data, ivi p. 1).
  • Questo passo non è citato dal Thesaurus, s.u. cēna, 779,57 ss. Su questa traduzione, già conosciuta e citata da Agostino, v. PWRE, s.u. Appuleius, 257 e J. Bernays, Gesammelte Abhandlungen, I, Berlin, 1885, pp. 327 e segg.; R. Reitzenstein, Archiv für Religionswissenschaft, 7 (1904), pp. 393 e segg.
  • Il tèrmine pare fosse specialmente frequente in Àfrica; cf. Rönsch, Itala und Vulgata, p. 307 n. 1 alla fine e soprattutto Agostino loc. laud.: parasceuen, quam coenam puram Iudaei latine usitatius apud nos uocant. Anche Tertulliano e Ticonio sono africani, e cosí probabilmente la Pseudo-Apuleio traduttore del Trismegisto. Questo punto mi pare di una certa importanza, perché i rapporti tra la Sardegna e l'Africa sono stati sempre (cf. e.g. Bellieni, La Sardegna, I, pp. 330 segg.) e sono ancora, molto stretti (la Tunisia à oggi un' importante colonia sarda).
  • Dal passo di Agostino risulta anche chiaramente che al tempo suo gli Ebrei d'Africa parlàvano latino e usàvano cēna pūra. Si noti che la Volgata à sempre parasceuē là dove le traduzioni latine piú antiche ànno cēna pūra. Gli Ebrei èrano dunque piú conservatori dei Cristiani, come sono sempre stati.
  • Si è preteso dimostrare ancora recentemente (cfr. Boletim de filologia 6, pp. 197–203; ma anche Archiv für das Studium der neueren sprachen, 180 [1941], pp. 68 s.) che il tipo portoghese (prīma fēria) secunda fēria tertia fēria ecc. è piú antico del tipo sōlis diēs, lūnae diēs, martis diēs. La cosa è teoricamente possíbile e sembrerebbe anzi probàbile dal punto di vista geogràfico (il Portogallo è una típica area isolata), ma resta dubbia per via della cronología dei testi, giacché il tipo sōlis diēs ecc. è già attestato in Tibullo 1,3,18 (diēs Saturni) e a Pompei verso il 50 dopo Cristo (in greco: CIL, IV, 5202). V. W. Kubitschek, Grundriss der antiken Zeitrechnung, Mònaco, 1928, pp. 32 ss.: 37 ss. (con bibl.). Le attestazioni piú antiche del tipo prīma fēria ecc. sono invece nell' Antología (Carm. poet, min.), in Tertulliano e in Silvia. V. anche A. Nascentes, Dicionário etimológico, Rio de Janeiro 1932, p. 33 s.u. feira (bibl.).
  • Non mi convíncono molto le due (o tre) spiegazioni che dà il Salvioni (in RIL, Serie 2, 42, 1909, pp. 682 segg.) del curioso accento di kenàpura ecc., con materiale però molto interessante (ci si aspetterebbe * kenapúra, dato cēna pūra); ma meno ancora mi persuade il Wagner loc. laud. p. 620, che parte da un ablativo, cēnā pū;rā, il che a me pare aiuti poco!Io non ò un'altra spiegazione, ma, non essendo (grazie al cielo!) un neogrammàtico, considero l'etimología ugualmente sicura. Forse non è fuor di luogo di ricordare che i nomi preromani della Sardegna ànno in maggioranza l'accento sulla terzúltima (Càgliari, Sàssari, Núoro, Dèsula, Sàdali, Bórore, Bóttida, ecc. ecc.); e che in gènere il sardo predilige assai questo tipo di accentuazione, pur ammettèndone altri. È questo un fatto di cui, in tempi di linguística strutturale, bisognerà tener piú conto che non si sia fatto per lo passato.
  • Il Guarnerio A Gl It. 13 (1892–4) p. 134 nota 1 scrive lapidariamente: “kabidanni settembre (sassar. kabbidannu), il primo mese dell'anno secondo l'antico calendario”; e similmente il Merlo, p. 157: “Secondo l'antico calendario sardo l'anno principiava col settembre.” Ma quando? dove? donde? perché? Meyer-Lübke, Wb. s.u. caput non dà alcuna spiegazione.—Anche il recente Atlante linguistico italiano della Corsica, alla carta 677, dà k'apidannu (e àabidannu) per i due punti della Sardegna settentrionale in esso compresi.
  • “Era naturale che il mese che dà principio all'anno avesse da questo fatto notevolíssimo il suo nome” dice Miklosich, Die slavischen Monatsnamen, p. 23 a propòsito del romeno cǎrindar, karindariŭ gennaio (cf. Merlo, I nomi romanzi delle stagioni e dei mesi, Torino, 1904, pp. 107; 157).
  • Tanto il Meyer-Lübke nel suo noto Dizionario quanto il Merlo op. laud., parlando delle sopravvivenze della parola calendae, mi sémbrano aver dimenticato papa chalande, il ‘babbo Natale’ (Saint Nicolas, Santa Claus) di Ginevra, ancor oggi vivíssimo.
  • L'anno ebràico cominciava originariamente il primo giorno di Nisan (Aprile); ma sotto la dominazione di Antíoco Epífane fu adottata per influenza siríaca la data del 1° Tišri (settembre), che ancora vige; cf. Ed. Mahler, Handbuch der jüdischen Chronologie, Leipzig, 1916, p. 360.
  • Anche gli antichi Slavi ed Albanesi cominciàvano l'anno in settembre (cf. Reinsberg-Düringsfeld, Jahrbuch für romanische und englische literatur, 5 (1864), pp. 361 e seg. (nota, 1). L'anno russo cominciava in settembre ancora nel XVIII sècolo. Quale ne sia l'orígine lascio ad altri di decídere (forse bisogna, per gli Slavi, pensare ai Cazari?); certo è che né Slavi né Albanesi èbbero mai alcuna influenza in Sardegna, e che nulla di simile ci è noto per i Protosardi (prima dell' Era Volgare).
  • Si noti che kaputanni traduce letteralmente l'ebràico roš-hašannah (‘testa dell’ anno')
  • L'anno àttico e l'olimpico cominciàvano in estate (in gennaio in Beozia);l'anno romano in gennaio (in tempi antichissimi, in marzo, cf. i nomi di settembre, ottobre, novembre, dicembre); l'anno germànico (pagano) in inverno; l'anno àrabo e musulmano in gènere, essendo lunare, non aveva né à inizio fisso. Cf. Enc. ital., s.u. calendario, pp. 397 b; 403 d; E. Gachet, “Recherches sur les noms des mois et les grandes fêtes chrétiennes”, in Compte rendu des séances de la commission royale d'histoire de Bruxelles, 3, 7,1865, pp. 383 ss. (specialmente, 423ss.;449ss.; 458 ss.).
  • “Anche il Cristianésimo penetrò presto in Sardegna: sotto Còmmodo (180–192 d.C.) i cristiani che lavoràvano nelle miniere della Sardegna fúrono liberati per intercessione della sua concubina Marcia, oúσα φιλóθεoς παλλακὴ koμóδoυ (sic) Ippòlito, Filosofúmena, ovvero Kατά πασῶν αlρέσεων έλεγχoς ed. Duncker e Schneidewin, Gottinga, 1859, pp. 454 s.; cf. Harnack, Die Mission und Ausbreitung des Christentums, Leipzig 1902, pp. 119 n. 3; 385; 497 n.l; Groag, PWRE, s.u. Seius 9, col. 1123 s. Per le prove archeològiche, v. qui le note 14 e 15. L'asserzione di D. Filia, La Sardegna cristiana, Sàssari, 1909, 1, p. 33 (ripetuta dal Wagner, p. 621) che “numerosi cristiani erano stati deportati in Sardegna verso il 174, per decreto dell'imperatore Marco Aurelio, secondo l'autorevole testimonianza dei Filosofumeni [o “Confutazione di tutte le eresie”, del prete Ippolito, ediz. Miller], scritti prima dell'anno 225” non è ben fondata. L‘única base seria è data non dai Filisofúmeni (v. sopra), che non pàrlano punto di Marco Aurelio, ma da Modestino, nel libro primo del De poenis (cf. Digesto, 48,19,30): Si quis aliquid fecerit quo leues hominum animi superstitione numinis terrerentur Diuus Marcus huiusmodi homines in insulam relegari rescripsit. Ma 1°: non è provato che quest‘ísola sia la Sardegna; 2° non è punto provato che questo testo si riferisca ai Cristiani o agli Ebrei; esso è tra l'altro formalmente contraddetto da Tertulliano, Apologètico, 5, e si applicava forse piuttosto “aux escrocs qui exploitaient la crédulité publique” (cosi mi scrive il dotto amico H. Grégoire, al quale devo varie indicazioni preziose contenute in questa nota). Del tutto arbitraria è poi l'affermazione dello stesso Filia (p. 37) che per l'editto di Claudio (del 41!) “alcuni […] di questi giudeo-cristiani emigràrono in Sardegna […….];” Cf. Atti degli Ap., 18,12; Dione Cassio 60, 66, 6; Orosio, Hist. adu. Paganos, 7, 6,15–6, tutti raccolti e acutamente commentati da H. Janne, Impulsore Chresto, in Mélanges Bidez, pp. 531–53. Nessuno di questi testi allude neppur lontanamente alla Sardegna!
  • Il quale aggiunge: “Sie [die Juden] hatten eine Synagoge in Cagliari, die Gregor d. Gr. erwähnt, und in dem alten Sulcis (dem heutigen S. Antioco) wurde, von den christlichen-Gräbern getrennt, eine alte jüdische Begräbnisstätte mit hebräischen Symbolen und der Inschirft šalom gefunden. […….]— So erklärt sich die linguistische Tatsache, dasz der Freitag in Sardinien cena pura heiszt, durch die nachweisbaren alten jüdischen Siedelungen und die ebenso sicheren jüdisch-christlichen Berührungen in den Frühzeiten des Christentums auf Sardinien.” II Wagner rimanda per l'archeologia e l'epigrafia alle clàssiche òpere del De Rossi, del Pinza e del Taramelli (aggiungi J. Juster, Les Juifs dans l'Empire Romain I.Paris, 1914, p. 183). E. Meyer-Lübke nel suo Dizionario, 3aediz., s.u. cēna, scrive: “log. kená(b)ura ‘Freitag’, eigentlich ‘der Tag des reinen Essens’. Der Ausdruck stammt von den Juden, wo der Vorsabbat, also der Freitag, diesen Namen trug Wagner Zs. 40,620.”
  • Cf. Tàcito, Annali, 2, 85: Actum et de sacris Aegyptiis Iudaicisque pellendis faclumque patrum consultum ut quattuor milia libertini generis ea superstitione infecta quis idonea aetas in insulam Sardiniam ueherentur, coercendis illis latrociniis et, si ob grauitatem caeli interissent, uile damnum; ceteri cederent Italia nisi certam ante diem profanos ritus exuissent. Cf. anche Svetonio, Tib., 36; Giuseppe Flavio, Antiq. lud., 18, 3. Il Wagner cita anche Svetonio, Vita Claudii, 25; ma Svetonio veramente dice solo che Claudio espulse gli Ebrei (e i Cristiani?) da Roma; non dice punto che li mandasse in Sardegna! Cf. D. Filia, La Sardegna critiana, 1, Sàssari, 1909, pp. 33; 35; 37; E. Schürer, Geschichte des jüdischen Volkes, Leipzig, 1909, 3, pp. 61 f. e C. Bellieni, La Sardegna e i Sardi nella civiltà del mondo antico, 2, Càgliari, 1931, p. 14: “L'origine delle colonie ebraiche in Sardegna, la cui esistenza è attestata da fonti e documenti lapidari nei centri di maggior traffico con l'Africa: Cagliari e Sulcis, deve essere ricercata probabilmente in età piú remote [di quella di Tiberio], anche prima di Augusto, ed il loro processo di formazione deve essere stato analogo a quello avvenuto in tutto il bacino del Mediterraneo, ed in particolar modo a Cartagine, Hadrumet, Utica, Ippona, Volubilis, Cirta, Sitifis sulla opposta sponda.”
  • Cf. anche H. Vogelstein e P. Rieger, Geschichte der Juden in Rom, I, Berlino, 1896, pp. 14 e seg.; E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica, 1, Rome 1923, pp. 178 ff.; 562 ff.
  • Sui nomi dei mesi nelle lingue romanze cf. Reinsberg-Düringsfeld in Jahrbuch für romanische und englische literatur, 5 (1864), pp. 361 e segg.; Merlo, I nomi romanzi delle stagioni e dei mesi, Torino, 1904. Sui nomi germànici e slavi precristiani v. Enc. ital., s.u. calendario, p. 493 ed.
  • L'AIS, nel punto 923 (Ploaghe), e solo in quello, inverte e dà santu aini per ‘novembre’, şant andrίa per ‘ottobre’. Mi domando se non vi sia errore di stampa, o altra confusione, Per il resto dell‘ísola, l 'AIS dà 8 santandría nella carta novembre, 11 santu gavinu (o forme simili) nella carta ottobre. Il Merlo op. cit. nulla sa di cosí strana inversione. È noto che la solenne festa di San Gavino, patrono della Sardegna, ricorre il 25 d'ottobre, e la festa di Sant' Andrea il 30 novembre. Vien fatto di dire testis unus testis nullus. O forse il calendario religioso cambiò in Sardegna, e Ploaghe serba traccia di un calendario piú antico?
  • Anche l'ALEIC, nei due punti sardi (50 e 51), à santigaini, sàntuaini per ‘ottobre’, ssantandrla per ‘novembre’.
  • Ma la festa di San Michele ricorre il 29 settembre! V. qui la nota 16A, alla fine.
  • Si potrebbe forse pensare al “mese delle viti”; ma dicembre nulla à a che fare con le viti! Il Merlo nel dubbio scrive: “ma che vorrebbero dire un ‘mese delle vite’, un ‘mese delle idi’? Io non so che le idi di dicembre sieno mai state famose, o infami che si voglia dire, per alcuna ragione, come le idi di marzo.” Ma forse è lécito supporre che le idi (che ricorrévano ora il 13 ora il 15 di ogni mese) síano state confuse o identificate, nel mese di dicembre, con la celebèrrima festa dei Saturnali, che ricorreva il 17 di quel mese, e poi forse col Natale cristiano (il dicembre in Sardegna è anche chiamato Natale, v. il testo); cf. Enc. ital. s.u. Saturnali: “I Saturnali, per il loro carattere, ricordano assai da vicino il nostro carnevale; mentre per l'epoca dell'anno alla quale ricorrevano—il solstizio d'inverno—possono essere a proposito ravvicinate [sic] al nostro ciclo festivo di Natale e Capodanno. [——] Questa festa [——] si diffuse in tutto il mondo romano, e in ogni provincia dell'Impero, [nota!] rimase, sino al trionfo del cristianesimo, la festa piú popolare e piú cara alle genti di ogni condizione sociale.” V. anche PWRE s.u. Si noti poi che la diòcesi di Lione usò fino al XVI sècolo la parola calendae (tsalende, chalende) per Natale; eppure tra il Natale e il primo di gennaio ci corre una settimana intera, e il primo di gennaio (che è senza dubbio il nostro calendae) appartiene addirittura a un altro mese, anzi a un altro anno! Cfr. J. Jud, Revue de linguistique romane 10 (1934), pp. 60 s. (con due carte!).
  • “Que' nomi, in parte, inesplicabili, che, migliaia d'anni or sono, sonarono per la prima volta sulle sponde del Tevere, risuonano oggi in ogni parte del mondo” (Miklosich, Slavische Monatsnamen, p. 1, tradotto dal Merlo, op. cit., p. 177).

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